Concluso positivamente il Convegno L’ANSIA DA PRESTAZIONE che si è tenuto nella sala Rossa del Foro Italico a Roma.
Special Guest e promotore Carlo Pedersoli, ospiti Klaus Dibiasi e Stefano Battistelli, conduzione scientifica Carlo Moiso e Diego Polani.
Moderazione dell’evento : Walter Bolognani
(gentilmente concesso da ANATEN)Foro Italico – Sala Rossa
“Emozione sul set non ne ho mai provata, nello sport sì. Mi ha formato il carattere, mi ha insegnato a difendermi dagli altri e a subire certe lezioni”: L’ex nuotatore Carlo Pedersoli, alias Bud Spencer, sintetizza così la sua esperienza di vita al convegno che si è tenuto oggi a Roma dal titolo “Ansia da prestazione sportiva”. “Una volta terminata al carriera da atleta – ha aggiunto Pedersoli – ho lasciato i Parioli, le feste, e sono partito per il Sud America, per capire chi ero veramente. Ho pianto molto in quella nuova realtà , pensando a quello che avevo lasciato, ma alla fine credo di aver trovato me stesso”.
Al convegno, allestito dall’Associazione Nazionale Tecinici di nuoto, sono stati molti gli spunti che gli ospiti hanno fornito ad un appassionato pubblico. Molti i racconti di uno sport che sembra essere lontano anni luce. Pubblico e relatori hanno interagito in modo aperto e schietto.
Diego Polani, presidente associazione nazionale psicologi dello sport, Carlo Moiso, massimo esperto europeo di analisi transazionale, Carlo Pedersoli, primo uomo in Italia sotto i 60″ sui 100 metri stile libero , Klaus Dibiasi, vincitore nei tuffi alle Olimpiadi del ’68, ’72 e 76 e Stefano Battistelli: 1988, 400 misti prima medaglia italiana olimpica nel nuoto, attualmente dirigente federale, hanno regalato al pubblico presente le loro esperienze: gli atleti come testimoni che hanno vissuto direttamente stati d’ansia e gli psicologi che hanno cercato di spiegarle e interpretarle.
Ecco una sintesi degli interventi:
Presidente Associazione nazionale tecnici di nuoto e consigliere federale; Roberto Del Bianco. Il movimento (Anaten) è nato da soci di buona volontà , ora stiamo crescendo sempre più. Abbiamo una rivista (In Aqua. Rivista di cultura acquatica) in cui stiamo iniziando ad affrontare i temi del nuoto. Il nostro socio Carlo Pedersoli, mi chiedeva come gli atleti di oggi riescono a superare le difficoltà emozionali: Ci sono studi oppure metodologie nuove di approccio alla gara? Da questi interrogativi siamo partiti, con l’aiuto scientifico degli esperti vogliamo sviluppare meglio questo tema.
Carlo Pedersoli: “Vorrei raccontare innanzitutto come vivevamo noi atleti di quegli anni. Alla prima Olimpiade nel 1952, ci andammo tutti in treno, parlo della Nazionale. Si viaggiava su vecchi treni con sedili di legno. L’emozione più grande era quello di stare tutti insieme. Le gare venivano in seguito, ma noi eravamo entusiasti di quell’atmosfera”. Pedersoli racconta come è nata in lui l’ansia: “L’ansia mi è nata alla prima olimpiade, alle 8 del mattino c’erano le prime batterie. Avevo 2 avversari fortissimi (Scholes e Cliveland) alla mia destra e alla mia sinistra. All’epoca si virava ancora come i bambini: Si metteva la mano a bordo vasca e si tornava indietro. Ho tuttavia realizzato il 4° tempo mondiale dell’epoca”. Il grande risultato si è però rivelato esser un boomerang per l’atleta Pedersoli. ” Mi è preso un moto nervoso che mi dava reazioni incredibili, era l’ansia mista alle emozioni per la competizione”. Pedersoli ha spiegato come gli atleti allora non fossero seguiti nel modo adeguato da tutti i punti di vista. ” Considerate che ci allenavamo per 1000 metri al giorno, ridicolo. Oggi tutti percorrono almeno 10.000 metri in allenamento. Non eravamo seguiti dal punto di vista medico e alimentare. Per questo motivo credo che gli altri avessero una maggiore preparazione. Personalmente ricordo che fisicamente avevo un vantaggio: la grande forza nelle braccia. Guardo i nuotatori di oggi e vedo che accarezzano l’acqua. Tutt’altra cosa rispetto alla mia epoca”.
Molto diversa la gestione delle emozioni nello sport contemporaneo. ” Credo che oggi anche i vari Magnini, Brambilla e Rosolino soffrano di queste ansie ma le sanno affrontare al meglio. Levando all’atleta l’emozione iniziale lo si mette nelle condizioni di rendere al meglio”.
Pedersoli ha raccontato però anche le esperienze negative:” Ho visto anche cose brutte con gente che si ossigenava il sangue e lo re iniettava prima della gara. Ma gli atleti erano seguiti da psicologi, con i quali si isolavano e arrivavano alle gare molto concentrati”.
Diego Polani, (Presidente associazione nazionale psicologi dello sport): “L’ansia arriva dall’inconscio quando abbiamo paura dell’avversario. A volte l’ansia arriva però anche dai tecnici che portano gli atleti a sentirsi carichi di attese. Questo stato d’animo deve essere gestito in maniera ottimale. Atleti e tecnici la devono gestire, in maniera naturale, non si devono eliminare le emozioni. Le devo gestire in maniera ottimale. Le piccole paure, presenti nella vita di uomini e atleti, ci sono e resteranno sempre. La soluzione è una sola: impegnarsi per poterle superare.
Klaus Dibiasi: “L’ansia che si prova nella vita di tutti i giorni è la stessa che si prova in gara. Ai nostri tempi, come ha detto Carlo, non era gestita da persone specializzate. Emozione e ansia sono fondamentali per una prestazione di alto livello. Ho sempre vissuto l’ansia prima di una grande prova come un fattore positivo, voleva dire che sentivo la gara. Grazie all’ansia e alla tensione in gara si riesce a fornire il meglio nelle prove. Oltre una certa soglia però risulta nociva. Subentra il tremolio delle mani: è questo che ti penalizza e limita la prestazione. Nella mia carriera ho avuto la fortuna di affrontare i tuffi in maniera serena, le ansie sparivano quando salivo su un trampolino e sentivo che avrei fatto al meglio. Una sorta di training autogeno, imparato da me”. Dibiasi ha rivelato un particolare di fondamentale importanza perla sua carriera: “Dalla mia parte avevo la sicurezza che veniva dall’avere mio papà come allenatore. Mi dava un’idea di spalle coperte”.
L’ex olimpionico ha spiegato meglio il suo pensiero: “Ci sono due concetti fondamentali da tenere presente quando si affrontano le competizioni: La prima regola è quella di non sottovalutare mai l’avversario. A volte io e Cagnotto, il mio compagno di squadra, abbiamo perso da atleti meno bravi di noi, per averli presi sotto gamba.
Un’altra tensione letale per l’atleta è quella che emerge nei giorni precedenti la gara. Quando non si riesce a dormire la notte. In quel caso era ed è importante riuscire a scacciare i pensieri e riprendere sonno”.
Ma ci sono tanti fattori che influenzano la prestazione dell’atleta anche durante le varie fasi delle competizioni: “I carichi e scarichi continui di tensione durante i tuffi, per esempio. Oppure il pubblico, le domande continue dei giornalisti. Ognuno deve imparare a gestire al meglio questi momenti, per non arrivare esausto al momento clou “. Stefano Battistelli (ex nuotatore 400 misti e medaglia olimpica): “Ho provato ansia e paura, soprattutto alle Olimpiadi di Seoul 88. L’ho affrontata sempre con la mia famiglia, vivevamo tutti in una piccola casa e condividevamo le mie vigilie”. “Tutti noi abbiamo paura ma io cercavo di non mostrarla, soprattutto agli avversari. Prima di scendere in acqua provavo a far sentire ai rivali che ero sicuro di me stesso”. Battistelli ha affermato però di subire in particolar modo gli appuntamenti importanti: ” L’ansia mi portava a dimagrire tantissimo, passavo da 65 a 58 kg. Dimagrivo veramente troppo. Proprio nella mia prima Olimpiade, a Seoul, ho sentito tantissimo l’ansia. Erano 4 anni che aspettavo a questo giorno e sapevo che non dovevo sbagliare. Non volevo però che la paura mi portasse via le energie”.
Prof. Carlo Moiso : “Qui hanno parlato persone di grandissima esperienza. Ci hanno dimostrato come ora come loro si siano comportati al contrario rispetto alla società attuale. Hanno cioè manifestato le loro paure. Nella società moderna pare non essere più così, vengono accettate solo le emozioni positive”.
Ansia e paura sono però due concetti diversi. Battistelli ha raccontato di come fosse consapevole della sua paura, ma non la nascondeva a se stesso, ma solo agli avversari. Personalmente da ragazzo provai terrore nel salire sul trampolino più alto del Kursal (4metri).
Klauss Dibiasi invece sottolinea l’importanza dell’allenatore che ti copre le spalle, che ti aiuta psicologicamente, così come faceva la famiglia di Battistelli. Tutto questo dimostra come sia importane per l’atleta il non essere solo. Si trasforma così l’angoscia del fallimento in un’emozione positiva cioè l’anteprima del successo. Dobbiamo predisporre l’animo in modo positivo, questo facilita il raggiungimento del successo. Si dice che i miracoli succedono, ma siamo noi che li facciamo accadere”.